AH, LE DONNE …

Era l’inizio di un giorno di sole asciutto e leggero. L’aria era appena fresca di quella luce che irrompe e si spande ovunque dopo una notte di pioggia di metà settembre.

Le otto del mattino. Fuori del liceo i ragazzi vociavano, intrecciavano nel sole i primi flirt e si scambiavano con curiosità le figurine, nell’attesa che si facesse ora di entrare.

Le auto sul viale erano poche, anzi, in realtà, da quella strada di un tranquillo quartiere residenziale passava solo qualche genitore che accompagnava i figli alle lezioni. Il rumore del traffico cittadino non giungeva fin lassù. Ad ascoltare bene, si sarebbe potuto anche sentire il canto degli uccelli rincorrersi di ramo in ramo: un piccolo angolo di paradiso, nascosto nel verde, in cima alla collina.

Si sa che i primi giorni di scuola hanno quella leggerezza del riveder gli amici (o le amiche) dopo il distacco delle vacanze. Non sono ancora fatti cupi dal peso dei primi risultati negativi. Come i suoi compagni, dunque, anche Giorgio quel mattino era di buon umore e guardava con piacere alla giornata che andava a iniziare.

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ILLUSIONE OTTICA (IL NOSTRO CERVELLO NON E’ POI TANTO PERFETTO)

Una sorprendente illusione ottica che mi è stata segnalata dal “pupo”.

Credo che dovremmo riflettere sul fatto che le illusioni sensoriali non sono semplici curiosità di fronte alle quali rimanere sbalorditi e dire “oooohhhh!” per poi passare ad altro. Esse costituiscono invece indizi della fallacia del giudizio umano.
Il nostro giudizio, in realtà, si rivela assai fallace anche in occasioni assai più concrete della nostra vita quotidiana e le certezze che ci costruiamo non di rado poggiano sul nulla; ma raramente ce ne rendiamo conto.

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PARVENZA DI RIFLESSI

Dove se n’è andato il verde?

Il verde gioioso e chiaro dei giorni freschi di primavera. O il verde più forte e sicuro che brilla nel sole d’estate.

Dov’è ora il verde, ora che la mia pelle si fa secca e bruna? Troppo sole, forse, troppe brezze leggere ho già goduto. Oppure in qualche modo era segnato.

E guardo le sorelle in mezzo a cui mi perdo, volgendomi io proprio, per proprio intendimento, ma, come ogni altra fa, cambiando l’orizzonte al volgere del vento.

Alcune, ancora vivide, di quel colore si rassicurano, mentre già la luce inizia a farsi tenue. Qualche altra, anzitempo ingiallita tra il mormorio incredulo e curioso di quelle che son più fortunate, giace ora giù, rigida, ai piedi del grande leccio antico. O un po’ più in là, dove il soffio del vento l’ha adagiata. E non son più le ali leggere degli uccelli che la sfiorano, ma le zampe irriverenti dell’istrice o del tasso che ne pestano i resti disseccati.

Noi tutte osservavamo cader le prime con stupito distacco, quel distacco che solo può avere chi non è ancora toccata dalla sorte. Chi sente d’esser sé, distinta dalle altre, e si compiace di quel proprio sentire, del proprio essere io e non altro.

Ma, via via che il destino volge l’indice ad altre vite, per ognuna, a una a una, altro futuro non rimane che il flusso oscuro dei giorni senza nome. E in essi ogni speranza ed ogni storia si fanno inafferrabili e indistinte; in essi scompare ogni individuo, svanisce l’io coi suoi colori e tutto si confonde nell’ultima ed estrema fratellanza di coloro che non son più diversi. Coloro che non sono stati mai null’altro che fragile parvenza di riflessi nel gioco del mutamento eterno. Bagliore d’un solo raggio chiaro sul verde d’una foglia, tra le mille foglie d’un albero perso tra i mille alberi d’un bosco, tra gli infiniti boschi che, per un attimo soltanto, s’aprono al Sole d’un sorriso ignaro.

Heriold